CENTRO MEDICO E FERTILITÀ

Parallelamente alle tecniche di fecondazione in vitro (FIV) e di ovodonazione, sono apparse procedure e tecniche diagnostiche prenatali che forniscono informazioni sullo stato fetale una volta ottenuta la gravidanza.
La diagnosi prenatale di anomalie genetiche ebbe origine più di 40 anni fa, quando iniziarono a essere coltivate le cellule fetali ottenute dall’amniocentesi, poiché solo attraverso questa tecnica venivano ottenute cellule fetali, ovvero, la puntura e aspirazione del liquido amniotico.
L’amniocentesi presentava rischi di circa il 2% delle complicanze come il sanguinamento o rottura del sacco amniotico, che molto spesso porta all’aborto.
L’indicazione principale per l’amniocentesi era lo screening prenatale per anomalie cromosomiche (marcatori ecografici fetali e marcatori biochimici nel sangue materno), che presentava un basso valore predittivo, aumentando il numero di amniocentesi e quindi il numero di aborti.
Era il 1969 quando fu trovato materiale genetico fetale nel sangue materno, ma non fu fino al 2011, quando questo materiale genetico venne eseguito più regolarmente in clinica.
Oggigiorno, lo studio del materiale genetico nel sangue materno è limitato ai cromosomi 21, 18, 16, X e Y e anche alcune microdelezioni, ma ogni volta possono essere incorporati molti più studi genetici. Si noti che la trisomia del cromosoma 21 rappresenta oltre il 90% delle anomalie fetali, essendo il valore predittivo di questo test, preciso quasi come l’amniocentesi.
Inoltre, ha i vantaggi che può essere realizzato prima, dopo la decima settimana di gestazione, e ha un valore predittivo molto maggiore rispetto allo screening prenatale, riducendo così le amniocentesi.
Va notato che, sebbene uno studio completo dei cromosomi non possa essere svolto oggi, nel prossimo futuro potrebbe sostituire totalmente l’amniocentesi.
Oggi nel campo della riproduzione assistita (IVF / ICSI) vengono condotti più studi genetici preliminari, sia sull’embrione che sui portatori di gameti, ma al momento non si può mai affermare che non appaia nessuna anomalia nell’embrione. Per questo motivo, anche nel caso di embrioni frutto di riproduzione assistita con precedenti studi genetici, la determinazione del DNA fetale nel sangue materno deve essere sempre effettuata.

CONCLUSIONI

Il classico screening prenatale che valuta i marcatori ecografici fetali e biochimici materni ha un basso valore predittivo, richiedendo un’amniocentesi non necessaria, con il conseguente aumento degli aborti.
La determinazione del DNA fetale nel sangue materno ha un valore predittivo molto maggiore rispetto allo screening, riducendo il numero di amniocentesi e, inoltre, può anche essere realizzato molto prima.
È essenziale eseguirlo anche durante una gravidanza da riproduzione assistita con precedenti studi genetici sull’embrione.

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Dott. Gregorio Manzanera

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